After Burner è tuttora uno dei giochi più difficili da valutare, almeno singolarmente. Nato per sfruttare al massimo il suo spettacolare cabinato da sala giochi, senza di esso valeva (e vale) davvero poco. Limitato nel gameplay, troppo caotico e parecchio frustrante, dimostra quanto Sega puntasse sull’aspetto “Luna Park” per le sue uscite in versione Arcade.
Ripercorrendo la storia della prima versione da sala, si torna alla metà degli anni ’80 e al successo cinematografico di Top Gun, film che lanciò la stella di Tom Cruise nel firmamento di Hollywood. Sega colse l’occasione al balzo e fece uscire uno sparatutto ispirato allo stesso film, ma soprattutto dotato di una vera e propria “giostra”. Il coin-op si muoveva in accordo con l’azione su schermo, anche lateralmente, e presentava l’aspetto di una cabina da aereo caccia.
Inutile dire che questi dettagli lo resero un vero e proprio fenomeno nelle sale giochi più “ricche” aprendo la strada al periodo dei cabinati enormi e costosi, ma anche spettacolari. Tutto questo per un gioco che chiedeva soltanto di restare vivi o, meglio, mantenere integro il nostro aereo attraverso un’enormità di livelli ripieni di nemici. Riuscire a farlo era un’impresa, per via del caos presente sullo schermo e della facilità con cui si veniva colpiti.
Malgrado i chiari difetti a livello di concept (tipo mettere l’aereo in mezzo allo schermo) il titolo Sega era comunque uno spettacolo da vedere e, ancora oggi, offre una sensazione di velocità vista raramente. Merito della prospettiva studiata nei minimi dettagli e dall’azione senza pause, evidenziata dalle musiche “rockeggianti”. Del resto, dietro questo titolo c’erano nomi come quello di Yu Suzuki, diventato celebre grazie a Virtua Fighter e Shen Mue.
After Burner, in buona sostanza, rimane un evento più che un semplice videogame: senza il suo cabinato e l’esperienza che offriva, avrebbe riscosso meno popolarità. Ma il perfetto tempismo della casa madre, e la “giostra” che lo ospitava, hanno segnato comunque la storia.