Phantasy Star è stato tra i pionieri dei giochi di ruolo giapponesi come li conosciamo oggi, noti tra i puristi come RPG (o JRPG). Apparso praticamente dal nulla nel 1987, in contemporanea al più celebre Final Fantasy per NES, si differenzia dall’illustre concorrente in molti aspetti. Soprattutto quelli realizzativi, dato che il titolo firmato Sega usava elementi grafici all’avanguardia per l’epoca, come i sotterranei simil 3D da esplorare in prima persona.
Ma era l’ambientazione e il cast di personaggi, uniti alla profondità di gioco, che resero Phantasy Star un successo dando vita a una serie pluri decennale arrivata successivamente online. Perfino l’anziano capostipite aveva già un’introduzione animata ed elementi cinematografici che sarebbero arrivati molti anni dopo su sistemi molto più potenti.
Le caratteristiche chiave di Phantasy Star erano nel mix di elementi fantasy e tecnologici, rimasti il segno distintivo dell’intera saga. Molto più che in altri giochi di ruolo, dove è sempre la parte fantasy a dominare: stavolta, ci si muoveva in scenari molto avanzati sotto il profilo estetico, dove la magia era un “extra” rispetto alla parte hi-tech. Questa scelta di design contribuì a farlo emergere nel nascituro settore dei giochi di ruolo nipponici, che spesso rimanevano confinati al solo Giappone.
Non fu così per Phantasy Star, uscito (in ritardo) anche in Europa e subito apprezzato da migliaia di appassionati malgrado il prezzo più alto. Il Master System, spesso umiliato dal rivale NES per quantità e qualità dei suoi titoli, finalmente poteva dire la sua con una produzione di altissimo livello. Che si ispirava, a partire dagli stessi dungeon, a molti successi visti su computer confezionando il tutto nell’inimitabile stile grafico giapponese.
Gli episodi successivi hanno ripreso gran parte delle caratteristiche introdotte dall’originale puntando di più sugli elementi legati alla storia, prima che l’intera serie venisse trasferita su Internet. Una scelta coraggiosa ai tempi (si parla dei primi anni 2000) ma che alla lunga ha penalizzato un gioco nato principalmente come esperienza single-player.