Pur avendo una delle più brutte copertine della storia, R-Type III rappresentava un’ottima proposta nel settore shoot’em up per una console poco adatta a gestire questa categoria (vista la lentezza vera o presunta del processore). In cabina di regia c’era nuovamente Irem, lo stesso sviluppatore che aveva rilanciato il genere sparatutto negli anni ’80 con lo storico cabinato da sala.
I primi segnali erano senza dubbio positivi: migliorato rispetto al secondo capitolo sotto tutti i punti di vista, il gioco si mostrava molto impegnativo e con abbastanza novità per non sapere di già visto. Tra queste, la possibilità di sovraccaricare gli armamenti attivando una modalità Hyper che richiedeva in seguito un certo periodo di raffreddamento. Non solo, la celebre forza (il satellite collegato all’astronave) era presente in ben tre versioni.
Tutto questo non nascondeva, però, una certa mancanza di inventiva nel design dei livelli e nella varietà dei nemici, oltre al dettaglio grafico non esaltante. Eravamo a fine 1993 e il Super Nintendo aveva già mostrato cose spettacolari in tutti i generi, quindi non bastava più qualche zoomata per stupire i giocatori. C’erano il classico livello “organico” e quello spaziale, i robot armati di tutto punto ma poco altro, in quanto a idee davvero originali.
Anche la modalità per due giocatori, probabilmente per le ovvie limitazioni dell’hardware, era del tipo alternato e quindi la struttura di gioco restava quella tradizionale di R-Type. Con la differenza che tra il primo e il terzo episodio erano uscite decine di titoli simili, già superiori a questo. Eppure non mancavano buoni spunti nel gameplay molto collaudato e nella difficoltà tarata apposta per i fan della categoria (quindi elevata).
Forse, R-Type III arrivò troppo tardi per farsi notare dall’ampio pubblico dotato di Super Nintendo che stava già per passare alle console della generazione successiva. Inoltre, il genere dei cosiddetti “spara e fuggi” era ormai avviato sul viale del tramonto dopo l’arrivo dei primi shooter in soggettiva. Tutto questo, insieme a una qualità complessiva buona ma non esaltante, lo rendevano inferiore a come avrebbe potuto essere.