Metroid Dread è finalmente arrivato, dimostrandosi uno dei migliori giochi disponibile su Nintendo Switch.
Il nuovo capitolo che conclude la saga di Samus, iniziata col primo Metroid, riesce a colpire grazie a uno stile visivo unico, a una grafica che sfrutta al meglio il 2d regalando scorci eccezionali e ispirati, e a un gameplay di livello.
A rendere unico questo capitolo, è però la regia del gioco, dove si vedono i mondo chiaro tracce del teatro Nō e delle marionette giapponesi.
Tra fantascienza e teatro
Le musiche accompagnano gli eventi di Metroid Dread utilizzando un minimalismo tipico del teato tradizionale giapponese. Lo stesso minimalismo del Nō che ritroviamo in una narrazione criptica, affidata più agli scenari e alle immagini che non a lunghe spiegazioni.
I momenti di massima espressione artistica arrivano nelle sequenze animate dove, quando Samus non è alle prese con evoluzioni sceniche, il suo stato di solitudine si manifesta con rapidi scorci degli avversari, visioni, inizialmente emblematiche accompagnate da strumenti tradizionali.
Metroid Dread è un buonissimo Metroid, ma soprattutto un titolo che, pur molto spinto verso il palato del pubblico internazionale, riesce a comunicare elementi unici tipici dei videogiochi giapponesi, e a raccontarci la forma poetica di una cultura, metabolizzata da un sistema fantascientifico e dal gameplay accattivante che ha reso unica questa serie.
In molti potranno obiettare che non siamo di fronte a Fusion o a Super Metroid.
Metroid Dread però, difficilmente deluderà gli appassionati.
Come videogioco lo consideriamo un titolo di altissimo livello. Se vogliamo affrontarlo come oggetto artistico, allora l’ultimo capolavoro di Nintendo tocca vette importanti che speriamo di vedere di nuovo nell’oscuro seguito di Breath of The Wild, che potrebbe rivivere proprio di queste sonorità e atmosfere.
Un titolo da non perdere e un’occasione per scoprire il teatro giapponese, le sue maschere i suoi suoni e i suoi ritmi narrativi.