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Virtua Tennis per Sega Dreamcast: storia di un classico arcade

Virtua Tennis: quando Sega trasformò il tennis arcade in un fenomeno per Dreamcast

Nel 1999, mentre le sale giochi giapponesi erano ancora dominate dai picchiaduro uno contro uno, Sega decise di puntare su qualcosa di completamente diverso. Non un nuovo fighting game, non l’ennesimo sparatutto, ma un titolo di tennis. Una scelta che sembrava rischiosa, ma che si rivelò una delle mosse più brillanti dell’ultimo periodo d’oro dell’azienda.
Virtua Tennis nacque da un’intuizione di Mie Kumagai, produttrice del team Sega AM3 e futura prima donna alla guida di uno studio di sviluppo videoludico in Giappone. Kumagai aveva osservato il successo trasversale di Virtua Striker e voleva replicarne la formula: un gioco sportivo accessibile a tutti, capace di coinvolgere tanto i giocatori occasionali quanto quelli più competitivi, sia in sala giochi che in ambiente domestico.
Il progetto iniziale prevedeva un titolo dedicato al basket, ma l’idea fu scartata. La proposta alternativa, incentrata sul tennis, ottenne invece l’approvazione, pur tra molti dubbi interni sul suo potenziale commerciale. In fase di sviluppo il team progettò persino un particolare controller a paddle rotante per simulare diritto e rovescio, ma dopo mesi di test si rivelò troppo complicato. La soluzione arrivò semplificando: un joystick tradizionale e pochi pulsanti.

Un arcade perfetto nella sua semplicità

Quando Virtua Tennis debuttò nelle sale nel 1999, il pubblico rispose con entusiasmo. Il gioco sfruttava l’hardware NAOMI di Sega, lo stesso utilizzato da titoli come Crazy Taxi e The House of the Dead 2, garantendo una grafica fluida e sorprendentemente realistica, quasi simile a una diretta televisiva.
I controlli erano ridotti all’essenziale: un pulsante per i colpi standard, uno per i lob e il joystick per gli spostamenti. Nessuna complicazione, nessuna combinazione da memorizzare. Questa scelta abbassava completamente la barriera d’ingresso: chiunque poteva capire immediatamente come giocare, mentre padroneggiare la tecnica richiedeva riflessi e strategia.
Il gameplay si reggeva su un equilibrio perfetto fra immediatezza e profondità. La potenza dei colpi variava a seconda del tempo di pressione del pulsante e dell’altezza a cui la palla veniva colpita. Anche le superfici influivano sugli scambi: l’erba favoriva un gioco rapido e piatto, la terra rallentava, il cemento offriva un equilibrio generale, mentre il carpet sintetico aveva caratteristiche proprie.
La modalità arcade proponeva cinque incontri con difficoltà crescente su campi diversi. I più abili potevano affrontare Master, il boss segreto pensato per mettere alla prova anche i giocatori più esperti.

L’arrivo su Dreamcast e il successo planetario

Nel 2000 Virtua Tennis approdò su Dreamcast e diventò uno dei punti di forza della console. Il porting non si limitò a riprodurre la versione arcade, ma la arricchì con contenuti pensati per l’esperienza domestica.
La modalità World Circuit divenne il vero fulcro del gioco: partendo dalla 300esima posizione nel ranking mondiale, il giocatore doveva scalare le classifiche attraverso tornei e sessioni di allenamento, guadagnando denaro per acquistare outfit, accessori e nuovi campi. Gli esercizi di training erano volutamente fantasiosi: bisognava colpire bersagli, abbattere birilli giganti, superare ostacoli in stile platform. Non puntavano al realismo, ma al divertimento puro, e funzionavano perfettamente.
Il roster includeva otto tennisti professionisti reali, tra cui Tim Henman, Jim Courier, Carlos Moyà e Yevgeny Kafelnikov, ma non le superstar dell’epoca come Sampras o Agassi. Due personaggi segreti — King e Master — potevano essere sbloccati completando la World Circuit o vincendo l’arcade senza perdere set. Le tenniste femminili erano assenti, una mancanza colmata nel sequel del 2001.

Un capolavoro tecnico e artistico

Da un punto di vista tecnico Virtua Tennis era straordinario. I campi erano ricreati con cura, chiaramente ispirati ai tornei reali pur senza licenze ufficiali. Le animazioni risultavano fluide, con espressioni facciali variabili e una gamma di dettagli — dai loghi delle scarpe al comportamento del pubblico — che contribuivano a una resa visiva molto credibile.
Le telecamere dinamiche, gli instant replay e l’audio curato nei minimi particolari restituivano la sensazione di una vera trasmissione sportiva. La colonna sonora rock giapponese aggiungeva ritmo e intensità.
Ma il vero punto di forza era il multiplayer: in doppio, fino a quattro giocatori contemporaneamente, il gioco diventava una delle esperienze competitive più divertenti disponibili su Dreamcast. La semplicità dei comandi creava un terreno comune, dove anche i meno esperti potevano competere e ribaltare una partita all’improvviso.

Riconoscimenti e un’eredità duratura

La critica accolse Virtua Tennis con entusiasmo. Su Metacritic, la versione Dreamcast ottenne un punteggio medio elevatissimo, mentre GameRankings registrò un impressionante 91,37% su 33 recensioni. Famitsu assegnò un 33/40. IGN inserì il titolo tra i migliori 100 giochi di sempre nel 2003 e nel 2005, mentre Game Informer lo collocò al 50º posto nella classifica dei migliori videogiochi del 2001.
Le recensioni premiavano l’immediatezza del divertimento e l’equilibrio tra accessibilità e profondità. NextGen lo definì “il miglior gioco multigiocatore degli ultimi anni”, GamePro lo celebrò come uno dei titoli sportivi più divertenti in circolazione, ed Edge assegnò un otto su dieci, pur criticando la difficoltà degli avversari finali.
In Giappone il gioco uscì con il nome originale Power Smash, ma Sega scelse per l’Occidente il più riconoscibile brand “Virtua”, già associato a serie celebri. Una decisione che contribuì a consolidare il titolo nell’immaginario dei giocatori.

Il franchise e i seguiti

Il successo del primo Virtua Tennis diede vita a un franchise longevo. Virtua Tennis 2 arrivò nel 2001 introducendo le tenniste e un ventaglio di colpi più ampio, mantenendo però la formula originaria.
La serie proseguì su PSP con Virtua Tennis: World Tour (2005), quindi con Virtua Tennis 3 per Xbox 360, PS3 e PC (2006-2007), seguito da Virtua Tennis 2009 e Virtua Tennis 4. L’ultimo capitolo, Virtua Tennis Challenge, uscì nel 2012 per dispositivi mobili. Da allora, la serie è rimasta inattiva.
Una curiosità: parte del codice del gioco originale fu riutilizzato per Cosmic Smash, titolo che univa squash e Breakout in un’estetica futuristica. Questo cult è stato recentemente riproposto come C-Smash VRS per PlayStation VR2.

Perché Virtua Tennis resta importante oggi

A più di vent’anni dall’uscita, Virtua Tennis conserva intatto il suo fascino. In un panorama sportivo sempre più complesso, carico di licenze e meccaniche stratificate, il gioco Sega rappresenta un design essenziale ma impeccabile: pochi elementi, realizzati con maestria.
Non serviva conoscere il tennis per apprezzarlo. Bastava prendere un controller e lasciarsi coinvolgere. Sega non aveva solo creato un grande gioco di tennis: aveva realizzato un grande videogioco in senso assoluto, capace di intrattenere chiunque.
Per i nostalgici, tornare oggi su Virtua Tennis significa riscoprire quella freschezza immediata che caratterizzava i migliori arcade. Per i nuovi giocatori, rappresenta una lezione di game design ancora attualissima: la semplicità ben calibrata può essere più efficace di qualunque complessità superflua.
La storia di Virtua Tennis è anche quella di Mie Kumagai, che seppe individuare un’opportunità dove altri vedevano un rischio. Nel 2003, diventando presidente di Hitmaker (ex Sega AM3), entrò nella storia come la prima donna a dirigere uno studio di sviluppo videoludico in Giappone, ottenendo anche un riconoscimento dal Guinness dei Primati nel 2008.
Kumagai lasciò Sega nel 2015 per unirsi allo studio mobile Colopl, ma la sua influenza resta evidente. Virtua Tennis non è solo un ottimo gioco: è il risultato di una visione chiara, orientata al divertimento accessibile e alla condivisione dell’esperienza.
Se avete ancora un Dreamcast funzionante — o l’occasione di emularlo — Virtua Tennis merita assolutamente una partita. E se giocate in compagnia, preparatevi: certi doppi rischiano di mettere alla prova perfino le amicizie più solide.

I commenti del pubblico

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