Ken il guerriero? Una cosa del genere
Black Belt è un titolo del 1986, era arcaica del videogioco che deve farci chiudere un occhio su alcuni dei suoi grossi difetti. Il titolo è originariamente il primo Hokuto No Ken, uscito in Giappone come tie in della serie di anime e manga, per qualche oscuro motivo il titolo viene poi riproposto sotto le spoglie di un gioco di Karate, dove guideremo il protagonista Riki contro ondate infinite di avversari intervallate da una serie di boss e, per finire con il malvagio avversario che ha rapito la nostra ragazza.
Che dire, Black Belt è un titolo del lontano passato e va preso per quello che è, le meccaniche sono estremamente ripetitive così come gli avversari. Ci troviamo di fronte a una mappa infinita senza ostacoli o altro, scandita semplicemente dalla presenza di boss a intervalli regolari. Il gioco non vanta un sistema di combattimento complesso ma semplicemente un paio di attacchi da amministrare al meglio per sopravvivere alle ondate che ci travolgono.
Un titolo castrato
La strana decisione di togliere gli elementi apocalittici di Ken fa perdere al gioco tutto quel fascino che ha le versione originale. Ci troviamo così sostanzialmente di fronte a un generico personaggio che pesta a sangue generici energumeni fino a raggiungere il boss finale. Il gioco è quindi una specie di strano miscuglio al quale manca un po’ d’anima per convincerci realmente.
Per l’epoca della sua uscita Black Belt non era malaccio, al giorno d’oggi però, diventa un prodotto adatto a collezionisti o a sfegatati retrogamers che cercano un gameplay assolutamente semplice e arcade.
Un vero peccato perché gli elementi per rendere questo gioco qualcosa di più c’erano tutti, una cura maggiore dei livelli e del sistema di combattimento avrebbe dato vita a qualcosa di molto più interessante anche agli occhi del giocatore di oggi.