Game Boy Advance: la storia completa della console che cambiò il gaming portatile
C’è stato un momento preciso in cui il gioco in mobilità compì un salto generazionale. Quel momento si chiama Game Boy Advance: marzo 2001 in Giappone, giugno in Europa. Una console che portava davvero – non solo a parole – la potenza del Super Nintendo nel palmo della mano.
Le origini: dal Project Atlantis alla rivoluzione
Il Game Boy Advance non nacque dal nulla. La sua gestazione parte già nel 1996, quando sui magazine specializzati circolavano voci su un misterioso “Project Atlantis”, futuro successore del Game Boy Color. Si parlava di una CPU ARM a 32 bit e di uno schermo a colori generoso: per l’epoca, pura fantascienza portatile.
Nintendo scelse la prudenza. Dopo il lancio del Game Boy Color (1998) il progetto riprese slancio, accelerando fino alla presentazione pubblica. Il nome in codice “Advanced Game Boy” piacque così tanto da essere mantenuto, con una piccola inversione: Game Boy Advance.
Curiosità: l’etichetta “Game Boy” nacque come risposta concettuale al Walkman di Sony. Se il lettore musicale aveva portato la musica fuori casa, Nintendo fece lo stesso con il videogioco tascabile: un’idea semplice e potentissima.
Un design pensato per stupire
Il GBA segnò anche una rottura estetica. Dopo la scomparsa di Gunpei Yokoi (1997), l’eredità passò al designer Gwénaël Nicolas e al suo studio Curiosity Inc. La scelta più coraggiosa fu l’abbandono del formato verticale a favore di un layout orizzontale: schermo centrale e comandi ai lati per un’impugnatura più naturale.
A destra i tasti A/B, a sinistra la croce direzionale, sui bordi i dorsali L/R più ampi del passato. Con 14,45 cm di larghezza, 8,2 cm di altezza e 140 g di peso, era compatto ma solido. Lo schermo TFT da 2,9″ (240×160) rappresentava un netto passo avanti, ma senza retroilluminazione: scelta pensata per garantire fino a 15 ore con due pile AA, al prezzo di dire addio alle partite al buio.
Potenza da Super Nintendo tascabile
Sotto la scocca batteva un ARM7TDMI a 16,78 MHz, CPU a 32 bit che avvicinava la console alle capacità grafiche del Super Nintendo. Accanto, un coprocessore Z80 assicurava la retrocompatibilità con le cartucce Game Boy e Game Boy Color, trasformandola in una macchina con un catalogo enorme fin dal primo giorno.
Il GBA poteva mostrare fino a 32.768 colori in modalità bitmap (511 in modalità testo), gestire sprite complessi, rotazioni, scaling, luci e ombre. Il 3D poligonale era possibile ma accessorio: il terreno d’elezione restava il 2D, dove la console brillò davvero.
Il lancio e il successo mondiale
Il 21 marzo 2001 il GBA debuttò in Giappone centrando gli obiettivi interni di vendita. L’11 giugno toccò al Nord America: 500.000 unità nella prima settimana. Il 22 giugno 2001 arrivò in Europa, a un anno esatto dalla presentazione allo Space World.
La line-up mise subito in chiaro le ambizioni: Super Mario Advance, F-Zero: Maximum Velocity e altri titoli capaci di valorizzare l’hardware. La risposta del pubblico fu immediata: altre 500.000 unità in una settimana nel Vecchio Continente. Numeri che resero il GBA la console portatile di riferimento del periodo.
La ludoteca: un tesoro di capolavori
La vera forza del GBA fu il catalogo. Con oltre 1.500 giochi pubblicati, ce n’era per tutti i gusti. Nintendo sfruttò la parentela tecnica con il Super Nintendo per riproporre classici in versione portatile: la serie Super Mario Advance (da SMB2 a Super Mario World e Yoshi’s Island), Final Fantasy IV, V, VI, The Legend of Zelda: A Link to the Past.
Ma non fu solo nostalgia. Metroid Fusion e Metroid: Zero Mission ridefinirono i platform d’azione; Advance Wars portò lo strategico a turni su nuove vette; Golden Sun dimostrò che i JRPG potevano brillare anche su 2,9 pollici; Mario & Luigi: Superstar Saga mescolò umorismo e meccaniche di ruolo con sorprendente freschezza.
La serie Pokémon trovò nel GBA la sua casa ideale: Rubino e Zaffiro, poi Smeraldo e i remake Rosso Fuoco/Verde Foglia, macinarono milioni di copie. Fire Emblem debuttò in Occidente proprio su GBA, aprendo la strada a una lunga storia di successi.
Capitolo a parte per Boktai: The Sun Is in Your Hand di Hideo Kojima: la cartuccia integrava un sensore solare reale che influenzava il gameplay. Folle e geniale, come certe idee che diventano cult.
Le evoluzioni: SP e Micro
Nintendo non si fermò al modello base. Nel 2003 arrivò il Game Boy Advance SP, che risolveva il problema più discusso: lo schermo buio. Design a conchiglia, batteria agli ioni di litio con lunga autonomia e – finalmente – illuminazione.
Il primo SP (AGS-001) offriva front-light; nel 2005 il modello AGS-101 introdusse la retroilluminazione vera e propria: colori vivi e visibilità perfetta in ogni condizione. In Europa fu distribuito in quantità limitate e in poche colorazioni (Surf Blue, rosa, Tribal), diventando ambito tra i collezionisti.
Sempre nel 2005 arrivò il Game Boy Micro: scocca in metallo, dimensioni ridottissime, schermo più piccolo ma nitidissimo, retroilluminazione superiore, design raffinato. Vendette 2,42 milioni di unità, complice l’ombra già lunga del Nintendo DS.
La fine di un’era
Nel novembre 2004 Nintendo lanciò il DS, presentato come “terzo pilastro” accanto a GBA e GameCube. La retrocompatibilità con le cartucce GBA sembrava confermare la coesistenza, ma il successo del DS dirottò rapidamente l’attenzione degli sviluppatori.
Tra il 2005 e il 2006 uscirono gli ultimi titoli di rilievo; Mother 3 restò confinato al Giappone. Il 12 febbraio 2008 Nintendo annunciò la fine della produzione: in Nord America l’ultimo titolo fu Samurai Deeper Kyo, in Europa Pixeline in Pixieland, in Giappone il canto del cigno era già arrivato con Rhythm Tengoku (agosto 2006).
L’eredità del Game Boy Advance
Il bilancio è netto: 81,51 milioni di unità vendute tra GBA, SP e Micro. Un successo che consolidò il dominio Nintendo nel portatile. Ma i numeri raccontano solo una parte della storia.
Il GBA fu l’ultimo grande baluardo del 2D Nintendo in un’epoca che virava al 3D: regalò alcune delle ultime produzioni in bitmap nate quando il 2D era ancora una scelta tecnica, non un vezzo rétro. Fu anche il primo vero ponte tra portatile e salotto: con il Game Boy Player per GameCube si portavano le cartucce su TV, mentre il cavo di collegamento sbloccava contenuti extra in giochi dedicati.
Per gli sviluppatori, il GBA fu una piattaforma accessibile: abbastanza potente da permettere lo sviluppo in linguaggio C, rendendo possibili progetti più complessi rispetto ai predecessori basati sull’assembly.
Oggi, a molti anni dalla fine della produzione, il GBA è più vivo che mai: community attive tra homebrew, hack ROM e fan game; collezionisti alla ricerca di AGS-101 e cartucce rare; nostalgici che ricordano le sessioni infinite alla ricerca dell’angolazione di luce perfetta.
Il Game Boy Advance non fu solo una console: fu un ponte tra due ere, l’ultimo grande palco del 2D portatile prima dell’abbraccio definitivo alla terza dimensione. In quel ruolo, ha brillato come pochi altri.