La serie Virtua Striker è ormai sparita dalle scene, soppiantata dalle simulazioni calcistiche o presunte tali, ma c’è stato un periodo in cui dominava il settore sportivo. Eravamo negli anni ’90, quando i giochi di calcio raramente si avventuravano fuori dalla grafica 2D. Sega, sempre lei, mostrò al mondo il futuro dell’intera categoria grazie alla scheda Model 2 e alla realizzazione tecnica, per quei tempi, spettacolare.
Ispirato ai mondiali di calcio del 1994, non aveva nessuna licenza ufficiale né giocatore autentico benché molti campioni fossero “imitati” nel loro aspetto. Ad esempio, Roberto Baggio riconoscibile nell’Italia con il codino e il suo numero 10 (nonché le doti tecniche). Pur essendo un gioco arcade puro e semplice, insomma, presentava molti degli elementi tornati più tardi in serie famose come FIFA o PES.
Tra questi, c’era il sistema di telecamere di stampo televisivo con annessi replay che dava al gioco un aspetto davvero futuristico per quegli anni. Visto che il gameplay era molto immediato e semplificato, l’arrivo di Virtua Striker attirò verso il coin-op tantissime persone. Ma bastavano poche partite a capire che il gioco era per un buon 70% concentrato nella grafica e nel sonoro.
I movimenti dei calciatori erano infatti prestabiliti e il controllo di ogni atleta deciso dal computer. La libertà concessa al giocatore arrivava solo nelle ultime fasi di tiro o passaggio. Inoltre, le partite diventavano presto un festival di “mazzate” dato che i falli c’erano, ma le espulsioni no. Mettiamoci la durata esigua di ogni incontro, la frazione di un solo tempo, e si vede come i contenuti fossero molto ridotti.
Ma eravamo a cavallo tra 1994 e 1995, non nel 2017 quando il genere sportivo ha già detto tutto quello che poteva dire. Vent’anni fa, nemmeno c’era una vera e propria categoria distinta per calcio, tennis e simili. In buona sostanza, Sega aveva mostrato a tutti cosa potesse fare con la grafica 3D, dopo aver stupito il mondo con quella bidimensionale.