Pang è stato così frequente nei bar e nelle sale giochi dei primi anni ’90 da risultare quasi fastidioso. Eppure, bastava un gettone o una moneta per rendersi conto che la casa madre, Mitchell, avesse centrato in pieno l’obiettivo. Si trattava di un mix tra puzzle game e giochi di piattaforme, piuttosto scarno a livello tecnico ma molto coinvolgente come struttura.
Nei panni dei classici ragazzini-eroi da cartone animato giapponese, dovevamo salvare il mondo da un’invasione di bolle assassine. Una premessa ridicola, che su schermo si trasformava nella continua distruzione di sfere multicolore senza poterle sfiorare. Il semplice contatto voleva dire perdere una vita, ragion per cui l’azione era un insieme di schivate e attacchi.
Oltre alla grafica semplice ma accattivante e i controlli puntuali, Pang aveva dalla sua una ricca selezione di bonus con cui modificare lo stile di gioco. Si trattava sopratutto di potenziamenti alle nostre armi che passavano da un semplice arpione a una mitragliatrice. C’era anche l’importantissimo scudo protettivo, con cui potevamo subire un colpo extra. Tutto questo, insieme a vari mostricciattoli in giro per lo schermo, dava ad ogni partita maggiore imprevedibilità.
C’era anche il multiplayer per due giocatori in contemporanea, un vero e proprio macello nelle fasi più avanzate. Tra palloni, palline, bonus e oggetti vari giocando in due non si capiva quasi nulla, ma le risate erano comunque abbondanti. L’importanza del gameplay, e lo stile grafico molto azzeccato, fecero di Pang un enorme successo e lo riportarono poco dopo l’uscita sui formati da casa.
Ci furono anche vari seguiti e riedizioni che però non aggiunsero granché alla formula originale. Come tante altre “sorprese” viste nel settore videogame, l’idea originale era l’unica che funzionava al meglio mentre i vari sequel aggiungevano solo inutili orpelli. In ogni caso, per quanto fosse impossibile da evitare ai tempi, Pang rimane tra le cose migliori uscite in campo platform/puzzle dalle sale giochi.