In Italia esistono 24 milioni di gamers. Con questo termine si intendono persone che passano tempo a giocare ai videogiochi. Il 61% di essi sono uomini, il 39% donne. Si discute spesso sul fatto che passare del tempo di fronte al computer possa essere pericoloso per la vita degli individui. Questa tesi, però, è di parte e non tiene conto del quadro d’insieme. Il concetto di “gamer” viene spesso associato a quello di “Nerd”, ma, se si toglie l’aspetto sociale dal ritratto d’insieme, rimane un fatto incontrovertibile: giocare porta ad essere più intelligenti della media. Un gamer, infatti, sviluppa aree del cervello che rimangono dormienti negli altri individui.
I videogiochi migliorano la capacità di apprendimento dei gamers
Un recente studio pubblicato su ilSentiero ha dimostrato come i videogiochi migliorino le capacità di apprendimento dei gamers e, anzi, li rendano più reattivi verso le novità. Questo succede perché i videogiochi moderni sono sempre più complessi. In particolare, quelli di strategia, implicano uno sforzo mentale notevole, soprattutto a livello di velocità decisionale e capacità di osservazione. Inoltre, la modalità multiplayer, permette di confrontarsi con più persone, affinando non solo le capacità strategiche del singolo individuo, ma anche le sue doti di collaborazione in un team. Quest’ultimo aspetto fa cadere uno dei tanti tabù legati al mondo dei gamers, ovvero quello che li vorrebbe profondamente asociali e poco attenti alla realtà. La verità è che, non si può generalizzare, ma bisogna sempre studiare caso per caso.
Lo sviluppo delle capacità cognitive
Una ricerca pubblicata sul sito del National Center for Biotechnology Information ha raccolto diversi studi che hanno dimostrato come giocare sviluppi capacità cognitive maggiori rispetto a chi non svolge questa attività. I tempi di risposta, la rilevazione dei cambiamenti, il giudizio temporale, le abilità visuo-motorie, l’enumerazione sono tutte qualità che vengono affinate attraverso i videogiochi.
Gamification e i meccanismi di ricompensa
C’è anche un altro aspetto che va sottolineato quando si parla di videogames ed è il concetto di Gamification. Questo termine è stato coniato nel 2010 da Jesse Schell, un famoso game-designer americano. Cosa sta a significare? È la conversione delle attività quotidiane in un gioco, dove si ricevono premi ogni volta che viene svolto un compito o si concretizza un dato obiettivo.
Secondo Schell, infatti, è possibile attivare dei meccanismi di ricompensa per gli individui, al fine di migliorare la competitività tra di loro e, conseguentemente, la produttività. Uno degli scopi principale del gioco, è, infatti, quello di raggiungere gli obiettivi che vengono posti. Proprio il fatto di avere un risultato da inseguire, spinge il cervello ad attivare livelli di dopamina che portano ad aumentare le capacità percettive e reattive degli individui. Portare questo concetto sul luogo di lavoro, fornirebbe, dunque, un incentivo a migliorarsi e ad andare oltre quello che viene definito “compitino”. Detto in termini calcistici, la gamification non è altro che il sistema dei bonus sottoscritti dai calciatori che puntano ad aumentare l rendimento di questi ultimi in base agli step che raggiungeranno.
Il sito elearningindustry ha interpellato un campione di lavoratori, in merito all’utilizzo della gamification sul luogo del lavoro. L’80% delle persone interpellate, ha affermato che la produttività aumenterebbe considerevolmente se fossero impiegate meccaniche mutuate dai giochi. Il 60% ritiene che l’impiego di leaderboard ed una maggiore competizione sul luogo di lavoro aumenterebbero le motivazioni e la spinta verso il miglioramento. Infine, l’89% si sentirebbe più gratificato e maggiormente coinvolto in un processo di learnification se questo comprendesse un qualche sistema di punteggio.
Questo significa che giocare ai videogames, può spingere ad avere una vita migliore sotto molti aspetti, compreso quello lavorativo. Con buona pace dei detrattori che la giudicano un’attività per bambini.