Castlevania II: Simon’s Quest resta una delle uscite più controverse nella lunga e apprezzata carriera del Nintendo Entertainment System. Dopo il successo del primo Castlevania, Konami ebbe l’idea coraggiosa di modificare radicalmente lo schema di gioco passando dai classici platform game alle avventure con elementi “ruolistici”. Benché usasse la stessa inquadratura e stile grafico del predecessore, infatti, il sequel era tutta un’altra storia.
Letteralmente, perché Dracula era già morto all’inizio del gioco e Simon Belmont doveva recuperarne i resti per annullare la maledizione lanciata dallo stesso signore del male. Ciò avveniva in un’ambientazione aperta alle scelte del giocatore e all’interazione con i personaggi non giocanti che fornivano (discutibili) indizi sul da farsi. L’impatto iniziale, di chi era abituato al primo Castlevania, fu drammatico perché l’azione era ridotta ai minimi termini.
Inoltre, alcuni difetti strutturali penalizzavano Castlevania II già all’inizio dell’avventura con enigmi spesso complicati e raramente illustrati al giocatore. Senza una guida, e allora erano una rarità, si passavano ore a gironzolare per gli ambienti senza capire esattamente cosa fare. Inoltre, la grafica riciclava numerosi elementi all’interno di scenari anche lontani tra loro abbassando l’interesse ad andare avanti.
I più motivati, a suon di tentativi, scoprivano con il tempo le vere qualità di questo titolo nella profondità di gioco e nell’ambientazione estremamente curata. Un esempio è il ciclo giorno/notte ripreso in seguito da moltissimi titoli e diventato quasi uno standard nei giochi d’azione “aperti”. Ma anche il numero di oggetti, nemici e personaggi aveva poco da invidiare ai giochi di ruolo.
Tant’è che diversi elementi del bistrattato Simon’s Quest sono poi tornati nel più celebre Symphony of the Night oltre che in moltissimi altri giochi. Il problema è che per apprezzarlo serviva un impegno e una dedizione allora sconosciuti, quando i videogame erano solo un passatempo veloce in stile arcade. Konami ebbe il merito, a fine anni ’80, di aprire una finestra sul futuro degli action adventure, per quanto frustrante e ripetitivo potesse sembrare.