Choplifter è un classico da sala giochi dei primi anni’80, arrivato in seguito su quasi ogni sistema casalingo e portatile nonché riproposto in varie forme per oltre trent’anni. Uno degli adattamenti migliori era quello per Master System, curato dalla stessa Sega che aveva già portato il medesimo titolo in sala giochi. La conversione fu encomiabile e, sonoro a parte, resta di buona fattura in tutti gli aspetti chiave.
Per chi non conosce questa serie, parliamo di uno sparatutto leggermente diverso dal solito: non bisognava attraversare i livelli fino al boss finale ma salvare delle persone. Anzi, a ben vedere non parliamo nemmeno di uno shooter in senso stretto ma di un ibrido action/puzzle. Ciascun livello chiedeva di recuperare gli ostaggi e portarli in salvo evitando il fuoco nemico e preservando il più possibile il nostro elicottero.
Un’idea molto originale per l’epoca che fece di Choplifter un grande successo, perfettamente conservata e applicata alla versione casalinga. La grafica, soprattutto, vantava diversi elementi di spicco come l’uso del parallasse nei fondali per una maggiore profondità nello scenario. Da ricordare anche l’elevato numero di oggetti su schermo e la velocità dell’azione, con pochissimi rallentamenti o altre imperfezioni visive.
Ma la parte migliore di Choplifter era il gameplay, azzeccato oggi come allora. Recuperare gli ostaggi e portarli in salvo (senza distruggere mezzo e occupanti) dava un’enorme soddisfazione anche considerati gli avversari su schermo. Aerei, carri armati, postazioni fisse…c’era di tutto pronto ad abbattere il nostro malcapitato elicottero. E i comandi, non proprio puntuali né troppo intuitivi, davano una mano extra al nemico.
Come tanti altri titoli basati sulla classica grafica bitmap, Choplifter finì nel dimenticatoio con l’avvento del 3D benché resti una delle migliori espressioni della categoria action game. Su Master System, inoltre, fu uno dei rari casi in cui Sega riuscì a riportare perfettamente tutte le caratteristiche dell’originale arcade. L’unica nota dolente arrivava proprio dal sonoro, ma nel vivo dell’azione si notava pochissimo.