Impossible Mission II seguiva le orme del predecessore, quello sì una pietra miliare, fin troppo alla lettera tanto che visti fianco a fianco sembravano uguali. Identica la struttura di gioco, il design della grafica e la planimetria di molte stanze, benché il seguito vantasse un lieve aumento di dettaglio grafico. La difficoltà esagerata? Quella restava la stessa e spinse molte persone a veri atti di violenza su disco o cassetta.
Come nel primo episodio, si trattava di esplorare un complesso ipertecnologico alla ricerca di indizi e pezzi di un puzzle che, risolto entro un certo limite di tempo, dava accesso alla fine del gioco. Peccato ci volessero centinaia di tentativi prima di realizzare una strategia efficace per avere la meglio delle molte trappole e nemici. In più, e rispetto all’originale, c’erano varie insidie nuove di zecca ad aumentare il livello di sfida.
In nostro aiuto, avevamo i soliti terminali con cui disattivare o attivare elementi specifici dello scenario e rendere la vita più complicata agli stessi androidi. Ma era un aiuto minimo, considerando che il protagonista risultava ancora disarmato (malgrado le illustrazioni in copertina). Il fatto di dover sempre evitare lo scontro, e finire male comunque, risultava moltro frustrante tanto più che faceva perdere tempo prezioso.
Al di là dei difetti strutturali, Impossible Mission II funzionava ancora perfettamente ed era anche più bello da vedere rispetto al primo episodio. Mancava della stessa originalità e attrattiva: chi si era impegnato per mesi a finire l’originale di certo non aveva intenzione di ricominciare da zero. Tanto più che le novità, come già detto varie volte, restavano minime e superficiali.
Epyx, marchio storico del periodo, creò nel 1988 un ottimo seguito ma mancò di un certo coraggio: variando di più l’ambientazione e il gameplay, poteva creare un altro classico. Invece, Impossible Mission II si presentò come un ottimo gioco ma venne anche offuscato totalmente dal primo capitolo.