Quando un gioco è quasi impossibile da finire anche usando i trucchi, vuol dire che qualcosa non funziona. Ecco a voi IO: Into Oblivion, probabilmente lo sparatutto arcade meno accessibile della storia. Un primato che conserva da quasi trent’anni e che ne ha fatto una celebrità tra i cosiddetti hardcore gamers, categoria di giocatori che fa del masochismo un motivo di vanto.
Uscito nel 1988 sotto etichetta Firebird, il titolo creato da Kinetic Design era ottimo tecnicamente tanto da sembrare quasi un coin-op. L’ispirazione era ovviamente R-Type nel design dei fondali e di alcuni nemici, mentre la struttura di gioco restava molto classica. Si trattava di attraversare una manciata di livelli a scorrimento orizzontale cercando di restare vivi.
Peccato che fosse un compito improponibile, visto il gameplay basato sulla costante memorizzazione dei livelli. Di fatto, superare i primi secondi di IO: Into Oblivion era impossibile senza conoscere i movimenti dei nemici, vista la debolezza della nostra astronave. Il problema di base era proprio questo: le risorse date al giocatore per combattere restavano molto limitate, per non dire “quasi inutili”.
Ai tempi, mancavano cose come il beta testing e un vero controllo qualità prima dell’uscita e la grafica bastava a vendere un gioco. Per tutte queste ragioni, nessuno pensò di dare una regolata al titolo Firebird prima di immetterlo sul mercato, trasformandolo da buon gioco a una forma di tortura interattiva. E parliamo di un’epoca in cui tutti i videogame erano difficili, pensate cosa succederebbe se uscisse oggi…
Nonostante le limitazioni presenti nel gameplay, la parte tecnica di IO: Into Oblivion era molto avanti per quei tempi tanto da conquistare stampa e pubblico. Si creò uno “zoccolo duro” di fan pronti a difenderlo a spada tratta e più avanti arrivarono anche alcuni remake. Il team di sviluppo, insomma, aveva centrato l’obiettivo almeno sul lato tecnico, creando un gioco che graficamente superava molti concorrenti.
Peccato che IO resti notevole solo da osservare a una certa distanza perché, dopo qualche Game Over, si diventa pericolosi agitando il joystick in preda alla rabbia.